Siamo agli inizi della seconda guerra mondiale e i tedeschi muovono verso la Francia.
E il protagonista decide di lasciare la sua cittadina, troppo vicina al confine, con la sua famiglia.
E salgono su un treno diretto chissà dove.
E vengono separati.
E diventano dei profughi.
E qui il lungo viaggio accade come in un tempo sospeso
un mondo a parte, dove tutto è possibile.
E qui incontra Anna, e si amano, di un amore che solo lì può esistere
in quel tempo e in quello spazio che nulla hanno a che fare con qualsiasi altra cosa.
Fino all'arrivo, al campo profughi, alla ricerca della moglie finita chissà dove
assieme al suo vagone, sganciato e ricollegato ad un altra locomotiva.
E così tra questo strano bizzarro mondo, che è ancora treno, e l'ansia del ritorno al mondo consueto si consuma il finale fin troppo scontato.
Ricongiunto alla famiglia, avviato al successo, tornato ad essere il buon marito e padre di famiglia, con le gioie e le ansie di una vita normale.
Ma all'improvviso in poche righe finali, scopriamo che la normalità ha un prezzo altissimo, il prezzo del tradimento. Il tradimento di quell'amore incapsulato nel treno, in nome della famiglia, e anche di qualcosa di più.
Ed è un pugno nello stomaco.
E l'autogiustificazione finale
suona come una ammissione di colpa.
Ed è proprio questo finale
a dare un sapore al testo
che risulta come riscritto daccapo
tanto le cose
acquistano un senso imprevisto.
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