Un caso, un semplice caso.
Sua moglie gli fa notare un piccolo difetto fisico, che ignorava di avere, e il nostro Moscarda sprofonda in una serie di riflessioni filosofiche e in una profonda crisi esistenziale.
E si convince che la nostra identità è molteplice, disseminata presso chiunque ci conosca e differente per ciascuno.
E per ciascuno l'unica e vera.
E noi dunque siamo ignoti a noi stessi e, convinti di essere uno solo, andiamo per il mondo disseminando immagini di noi sempre diverse, e ciascuno interagisce non con noi come siamo, ma con l'immagine sua di noi.
Ma c'è di più, una fugace impressione di sé riflessa in una vetrina o in uno specchi all'improvviso ci rivela uno sconosciuto.
Noi non ci vediamo vivere, mentre viviamo ci vedono solo gli altri, e ciascuno a suo modo.
E dunque questo "uno" reale che noi saremmo ci è ignoto (Ma poi esiste davvero?).
E scavando ancora queste immagini che ci facciamo gli uni degli altri non sono che forme arbitrarie che costruiamo per arrestare il flusso di esseri in continuo divenire, dunque mai uguali a sé stessi.
Preso da questo flusso di pensieri e irritato dalla sua stessa indeterminatezza Moscarda si cura innanzitutto di ricostruire come gli altri, ciascuno degli altri, lo vedono. Poi s'ingegna a
distruggere tutte queste immagini di sé.
Il risultato è la follia.
Non la follia in sé, la follia per gli altri.
Nessuno è disposto a mettere in discussione la forma che ha generato, e che per lui è il vero Moscarda, e allora se Moscarda non è più Moscarda la forma resta vera e Moscarda è impazzito.
Uscirà da questa situazione solo, povero tra i poveri.
Ma troverà una soluzione (radicale) al suo problema.
Accettare l'inconsistenza dell'identità e dissolvere l'Io nell'intuizione immediata e mistica dell'Essere.
Non è una soluzione letteraria (Soltanto) e non è una soluzione stupida.
E' una soluzione teoricamente consistente, che dovremmo prendere in seria considerazione dal punto di vista filosofico.
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