Dinanzi a me si stendeva l'immensa vita, un prato smaltato di fiori, appena limitato da un orizzonte molto, moòto lontano
Frequentavo l'allegra, anzi sfrenata compagnia di giovani aristocratici, l'ambiente che, dopo quello degli artisti, più mi era caro nel vecchio impero
Ne condividevo la scettica legggerezza, la malinconica presunzione, la colpevole ignavia, l'arrogante dissipazione, tutti i sintomi della rovina, di cui ancora non intuivamo l'approssimarsi
Sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute
Si imprecava allegramente, si bestemmiava finanche, senza scrupolo
Vecchio e solitario, lontano e per così dire pietrificato, pure vicino a tutti noi e onnipresente nel grande e variopinto impero, viveva e regnava il vedìcchio imperatore Francesco Giuseppe
Forse negli strati più profondi delle nostre abìnime erano sopite quelle certezze che la gente chiama presentimenti, prima fra tutte la certezza che il vecchio imperatore moriva, ogni giorno di più di vita era un altro passo verso la morte, e insieme con lui moriva la monarchia, non tanto la nostra patria, quanto il nostro impero, qualcosa di più grande, più vasto, più nobile che non una semplice patria
Dai nostri cuori grevi nascevano le battute spensierate, dalla sebìnsazione di essere votati alla morte un folle desiderio di qualsiasi affermazione di vita; di balli, feste popolari, ragazze, pranzi, gite, stravaganze d'ogni genere, scappatelle assurde, di ironia suicida, di critica feroce, del Prater, della Ruota Gigante, del Teatro delle Marionette, di mascherate, di balletti, di frivoli giochi amorosi nei palchi discreti dell'Opera di Corte, di manovre militari a cui ci si sottraeva, e finanche di quelle malattie che l'amore talvolta ci alrgiva
Joseph Roth
La cripta dei cappuccini
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