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Gramelot ovvero Della Comunicazione

  • Marcello Moscatelli
  • 30 mag 2020
  • Tempo di lettura: 1 min

Il Gramelot è una lingua immaginaria che Dario Fo ha usato nei suoi spettacoli.

Le parole sono un miscuglio di lingue anche del tutto immaginarie.

Un guazzabuglio incomprensibile perché introduce troppi codici o non è codificato affatto.


E tuttavia si capisce e si ride.


E questo ci rivela la verità più avanzata della Filosofia del Linguaggio. Noi non dovremmo capirci, ma ci capiamo lo stesso.


E questo è vero anche per il linguaggio ordinario.

Che è codificato ma è anche polisemico.

Che non è trasferimento di messaggi che passano inalterati da un soggetto all'altro ma è ermeneutica che modifica il messaggio nel passaggio dall'emittente al ricevente.

(Che è un po' il discorso di Pirandello)


E ci dice che la comunicazione non è un fatto linguistico ma un fatto semiotico.


Il Gramelot si capisce perché con le parole si intrecciano tutta una serie di segni non linguistici.


Le espressioni del volto, lo sguardo, le movenze e tutto ciò che un attore mette in scena col suo corpo.


Noi ci intendiamo attraverso il linguaggio, anche se non dovremmo, perché il linguaggio è solo una parte della comunicazione.


Il resto è semiotico senza essere linguistico.


Dalla linguistica alla semiotica.

Se si vuole capire la comunicazione.

 
 
 

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