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Il mostro ama il suo labirinto

  • Marcello Moscatelli
  • 10 mag 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Un libro di frammenti ci dice già qualcosa sul suo significato. Ci dice la diffidenza per l'ordine, per la coerenza, per i sistemi, per la perfezione. Ci dice del caso e del caos. E allora anche noi procederemo per frammenti Una vita da straniero in fuga da una identità che la società multiculturale vuole ti resti appiccicata addosso. Una certa scettica distanza, mai cinica e sempre lucida, su Dio, il Mondo, l'Uomo. La diffidenza di un poeta per la letteratura, e la fiducia nella letteratura. E la sfiducia per la politica è l'unica certezza.

E il linguaggio sfida l'essere sapendo di non poterlo fare, ma di dover tentare. Notare i dettagli. E la dittatura rende disumani anche gli oppressi, che forse non aspettavano altro. E la coerenza non è una virtù. E l'ordine è una prigione. Essere consapevole, nella terra della Libertà, che non siamo liberi.

E la poesia ha a che fare con la metafisica, che non crede in Dio nel Mondo, nell'Uomo, eppure li evoca e li invoca.

Essere folli non è necessariamente un errore. E dire ciò che non si può dire è il compito del poeta. E forse l'Infinito è la cosa più vicina a Dio.

Essere lirici non è facile. Devi avere qualcosa da dire.

E forse chi ha stroncato le tue poesie ti ha fatto il più grande dei favori. E i grandi intellettuali non capiscono ciò che chiunque capisce. E tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare, a noi stessi per primi.

Non credere è il migliore degli atti di fede. E il labirinto è il mondo e i mostri siamo noi

Ma forse soprattutto il poeta vede quello che il filosofo pensa.

 
 
 

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