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Skyline

  • Marcello Moscatelli
  • 24 mar 2020
  • Tempo di lettura: 1 min

Dietro la staccionata sta lo skyline della città

e io le vedo fuggire al vento.


E tutti i suoi aspetti mi sono noti e ignoti

come la vedessi la prima volta

come la vedessi da sempre.


Bambini e genitori, capuffici e segretarie, studenti e professori

vite intrecciate a vite, e mozioni molteplici.


E si scambiano battute con la cassiera

niente di particolarmente rilevante

a bassa voce ad alta voce.

Tanto è tenga il resto vuole la busta.


E venditori mostrano campionari.


E gli autobus la percorrono in perenne ritardo

tra il traffico inestricabile delle moltitudini urbane in movimento.


Si ride e si piange per tutto e per nulla.


E merci e vetrine e centri commerciali

e vi stanno frettolosi acquirenti e indolenti perdigiorno

nelle piazze artificiali di plastica e cemento

dell'Agorà moderna.


E i volti tirati e quelli rilassati

chi ha tutto da fare e chi niente da perdere.


E impegni orari appuntamenti.


Sono in ritardo sono in ritardo.


Taxi.


Ah.


L'ebrezza della normalità.


La ricorda bene la città

prima della catastrofe.


Era viva e calda e fredda e tenera e feroce.


Ora giacciono le rovine e i ricordi.


E lo skyline.


Mi avvolgo nella coperta più stretto

che è freddo

in questo feroce inverno perenne.

 
 
 

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